“Salvare capre e cavoli” non è poi così difficile…
I tempi sono maturi perché il tema del work-life balance, storico cavallo di battaglia del sindacato Unisin Confsal, allarghi la platea dei suoi sostenitori. Un sostegno che veda sempre più coinvolte le aziende, non soltanto la forza lavoro e la sua rappresentanza sindacale. Una prospettiva etica, in direzione della centralità della persona sui luoghi di lavoro. Ma anche una prospettiva di “centralità del dipendente” come scelta opportunistica dell’imprenditore che, nella correlazione positiva tra benessere e produttività (tipica degli ambienti di lavoro armonici e sereni), intravede una grande opportunità di cambiamento. Luoghi di lavoro che si vorrebbero sempre più vicini alle esigenze individuali e familiari dei lavoratori, dunque più motivanti. La capacità imprenditoriale di riorganizzare le proprie aziende in questa direzione può fare la differenza, non soltanto da un punto di vista etico nei confronti dei dipendenti, ma anche in termini economici rispetto ai concorrenti.
Di fronte all’ipotesi che possa sussistere una correlazione positiva tra migliori opportunità di conciliazione vita/lavoro offerte ai propri dipendenti e vantaggi aziendali connessi al clima positivo che ne deriva, la vecchia mentalità imprenditoriale, che invece la sottovaluta, sembrerebbe perderebbe forza. Ma la conclusione non è così scontata come sembra.
C’è un margine di resistenza aziendale che impone al sindacato di andare oltre le specifiche richieste dei lavoratori, focalizzando l’attenzione su tante altre argomentazioni (prettamente imprenditoriali) quando sottovalutate nella gestione del personale. Una sottovalutazione da mettere in evidenza anche nell’interesse aziendale, per i benefici indiretti che una gestione del personale inclusiva può generare. Vantaggi non trascurabili in termini di employer branding, immagine aziendale esterna, performance legata al benessere fisico e mentale dei singoli e così via. Altrettanto non trascurabili gli svantaggi di una gestione poco attenta alle esigenze dei dipendenti e i loro possibili risvolti negativi in termini di stress, clima aziendale e dunque di produttività. Solo per fare un esempio, la cattiva distribuzione dei carichi di lavoro, dei turni e delle ferie – rendendo difficile la gestione degli impegni extralavorativi e il riposo – può generare stress e demotivazione con impatto negativo sul rendimento individuale e dell’intero team. Prendendo in considerazione queste diverse argomentazioni, si capisce come obiettivi apparentemente inconciliabili possano coesistere facilmente se si riesce a individuare la giusta strada per centrarli insieme, senza scontentare nessuno.
Ma cambiare la vecchia mentalità imprenditoriale, non è sempre facile. Non è solo una questione di comprensione dei vantaggi legati a questo nuovo tipo di organizzazione aziendale, ma anche di dinamismo imprenditoriale in termini individuali, spaziali, temporali. Non esiste infatti un solo significato di welfare aziendale e work-life balance, come tante sono le esigenze che dipendono dalla storia personale dei singoli e dal livello di servizi offerti dal territorio d’appartenenza. Studi recenti dimostrano come i giovani siano particolarmente attratti dalle aziende flessibili e capaci di non impattare negativamente sulla loro vita privata. La donna con figli più o meno piccoli ricerca generalmente un maggiore equilibrio tra vita e lavoro, rispetto ad una giovanissima single in carriera. I lavoratori con familiari non autosufficienti preferiscono orari di lavoro più flessibili rispetto a chi non deve affrontare tale problematica. Queste variegate esigenze cambiano nel corso della vita lavorativa e sono più o meno accentuate rispetto all’ambiente esterno all’azienda (capacità del territorio di offrire supporti assistenziali per i bambini, gli anziani, i disabili). Non possiamo trascurare queste diverse esigenze. In primo luogo perché i dipendenti sono prioritariamente “persone” con tutte le loro differenze, prima che “forza lavoro”. In secondo luogo perché saper gestire queste differenze può tradursi in importanti opportunità di crescita e successo aziendale. Una prospettiva organizzativa etica e intelligente per affrontare un problema che problema non è.
Un’azienda organizzata anche in funzione dei diversi bisogni delle persone può offrire altrettante opportunità ai propri dipendenti: benefit per alleggerire le spese d’assistenza ai familiari o per la formazione dei figli; asili aziendali; contributi e flessibilità oraria per la maternità e la gestione delle problematiche connesse alle disabilità; attenzione alle difficoltà del pendolarismo attraverso flessibilità oraria, abbonamenti a mezzi pubblici e predisposizione di navette aziendali; ottimale gestione delle ferie (non solo in relazione alle esigenze aziendale, ma di quelle di tutta la squadra di lavoro) sul presupposto che il riposo è fonte di benessere individuale solo se programmato a tale scopo.
Tante le strade percorribili con successo per creare ambienti di lavoro sereni e motivanti, avendo contemporaneamente cura della produttività. L’imprenditore che muove le tante giuste leve di benessere a favore dei propri dipendenti si occupa, indirettamente, anche del proprio. Con un’espressione folkloristica (mutuata da un antico gioco del IX secolo trascritto nell’opera medioevale “Propositiones ad acuendos juvenes” da Alcuino di York) questo bravo imprenditore, con poche semplici accortezze, può davvero salvare “salvare capre e cavoli”.
Brunella Trifilio – Unisin coordinamento Donne e Pari Opportunità